giovedì 31 ottobre 2024

Tesori nascosti - Immagini del mito di Ercole

 


Le raffigurazioni di Eracle (il romano Ercole) e del suo mito erano molto diffuse per tutto l'Impero Romano nella decorazione sia del vasellame in bronzo ed argento che della ceramica fine. Così, anche ad Alba sono state ritrovate tracce del suo mito, per esempio in questi frammenti di una coppa in ceramica invetriata esposta al Museo "F. Eusebio", dove sono state riconosciute tre fatiche attribuite all'eroe (il Cinghiale di Erimanto, l'Idra di Lerna e le Amazzoni) e dove, presumibilmente, erano rappresentate in origine tutte e dodici.

Da Alba però proviene un'altra coppa decorata con un episodio riguardante Ercole, nonostante essa sia oggi conservata al Museo di Antichità di Torino. Datata tra il 350 ed il 430 d.C. e rinvenuta grazie ad un saggio del 1994, in una sepoltura all'esterno del lato sud delle mura di cinta, si tratta di una coppa in terra sigillata nordafricana con la decorazione realizzata a matrice sul fondo interno e raffigurante Eracle e Cicno, brigante figlio di Ares ucciso dall'eroe su incitazione di Apollo.

Questa tipologia di ceramica dall'altissima qualità pare avesse una diffusione leggermente maggiore nel sud del Piemonte rispetto al resto della regione, forse grazie ai collegamenti con i porti liguri, e la sua attestazione ad Alba tra IV e V secolo d.C. potrebbe, in effetti, informare sulla presenza ancora in città di abitanti benestanti dai gusti raffinati ed in grado di procurarsi oggetti di un certo pregio. Vista poi la presenza di un altro esemplare di questa ceramica ad Acqui Terme, è anche possibile che in Piemonte esistesse un "atelier" locale presso cui era stata importata una matrice metallica per la creazione del vasellame.

A cura di Umberto Marucco

Per maggiori approfondimenti si veda:

- F. Filippi, "Una coppa di sigillata africana figurata con il mito di Eracle e 'Kyknos' da una tomba tardoromana di 'Alba Pompeia' ", in "QSAP" ("Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte"), 13, Torino 1995, pp.59-72.

- E. Micheletto, M. C. Preacco e M. Venturino Gambari (a cura di), "Città di Alba. Civico Museo 'Federico Eusebio' di Alba. Sezione di Archeologia", Alba 2006, p.75.

- M. Volonté, "Ceramica terra sigillata: i servizi da tavola", in F. Filippi (a cura di), " 'Alba Pompeia': archeologia della città dalla fondazione alla tarda antichità", in "Studi per una storia d'Alba", vol.2, Alba 1997, in particolare pp.432, 441-442 e 445-446.

sabato 26 ottobre 2024

Le Langhe e Murazzano: geologia di un territorio

"Se le pietre potessero parlare"... e infatti a modo loro "parlano"!

Si è tenuta oggi la presentazione del nuovo libro dell'ingegnere e matematico Alberto Troia, sulla complessa storia geologica delle Langhe. 

Presentato da Flavio Bauducco, curatore del Museo "Federico Sacco" di Fossano, il dottor Troia ha sviluppato il racconto dei movimenti della crosta e dei mari terrestri, dall'antico Tetide all'attuale Mediterraneo, il tutto visto dalla particolare prospettiva delle terre poi diventate le attuali Langhe, fra le quali torreggia il paese natale dell'autore: Murazzano. 

Ecco il video della narrazione.


La passione profusa traspare dalla pagine ed è rimarcabile sia nella parte introduttiva, caratterizzata da un approccio divulgativo, sia nel prosieguo, che mostra la profondità dello studio e spunti per ulteriori letture.

Qui alcuni vecchi e nuovi amici presenti alla serata e rimasti alla firma del libro, in posa assieme all'autore... 

domenica 20 ottobre 2024

Don Francesco Giuseppe Meyranesio: analisi di una controversa figura senza tempo

Affascinante e controversa l'immagine di don Francesco Giuseppe Meyranesio da Pietraporzio (1728-1793), celebre storico e parroco di Sambuco. Falsario o raffinato erudita? 

Il conterraneo Mario Bruna, membro della nostra associazione (quarto da sinistra in questa foto dell'odierna inaugurazione), indaga sulla prolifica e discussa opera dell'autore, con l'appoggio della più recente analisi storiografica. 


La spietata analisi fornita da Bruna riporta in vita le contraddizioni di don Giuseppe. La lotta troppo spesso impari fra le tensioni ideali della ricerca storiografica e le ambizioni personali del noto religioso, se da un lato mina il cammino virtuoso della conoscenza, dall'altro offre alla nostra attenzione la gustosa rappresentazione di un personaggio che, stando alcuni storici attuali, parrebbe aver poco da invidiare alla spregiudicatezza del Barry Lyndon di Thackeray, nell'insidioso confine fra "realtà vere" e "realtà da lui create". 

Quale peso ha il carattere e l'istintiva e ineliminabile creatività di uno storico nel descrivere il passato? Quale tremendo impatto possono avere le ambizioni personali nella comune ricerca della conoscenza?

Gli studi di Bruna sono sintetizzati ed esposti in una collezione di pannelli all'ingresso del Museo Eusebio e vi resteranno fino al 29 dicembre. Gli orari di apertura sono dal martedì al venerdì dalle ore 15 alle ore 18; sabato, domenica e festivi dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 19.

Qui il video della presentazione della mostra da parte dell'autore e la locandina


lunedì 30 settembre 2024

'Scripta manent' - Il "ritratto" di Montano

 


'L(ucius) Naevius L(uci) f(ilius) /

Cam(ilia tribu) / Montanus /

v(ivus) f(ecit).'

"Lucio Nevio Montano, figlio di Lucio ed assegnato

alla tribù Camilia, fece fare da vivo."

(Testo latino e traduzione italiana liberamente realizzate)

L'epigrafe qui visibile è una stele funeraria in arenaria alta 89 cm, larga 52 e spessa 14, semplice e, a dire il vero, piuttosto rozza. Originariamente trovata nel 1949 nell'alveo del torrente Uzzone a Cortemilia (località Ponte Moschetto), è ora esposta nel lapidario del Museo "F. Eusebio" e risale alla prima metà del I secolo d.C.

Essa conserva il ricordo di un certo Lucio Nevio Montano, cittadino romano di 'Alba Pompeia' a tutti gli effetti come indica la sua assegnazione alla tribù Camilia, in cui era inserita l'intera popolazione della comunità albese.

Come si diceva, il monumento che Montano fece realizzare già da vivo è rozzo ed è rimasto anche incompiuto in parte, visto che, soprattutto nelle ultime righe, si notano ancora delle tracce delle linee guida usate per incidere il testo, simili a quelle presenti sugli odierni fogli protocollo.

Nella lunetta in alto compare poi quello che dovrebbe essere un ritratto parecchio stilizzato del volto del defunto, con occhi tondi, orecchie "schiacciate" sul piano di fondo e capelli compatti. Le medesime caratteristiche si ritrovano però in altri ritratti scolpiti a rilievo su lastre e ciottoli di fiume, come per esempio nella stele di 'Iunia Modesta' proveniente da Canelli in Val Tanaro, e sono identificate come elementi tipici della scultura celtica. Esse, dunque, riuscirono a mantenere tracce di sé fin nell'età imperiale romana e, forse, testimoniano che anche in quest'area la romanizzazione fu un processo non immediato, ma progressivo.

D'altronde, il "soprannome Montano" del defunto, oltre che indicare la natura di un personaggio "paesano" che viveva lontano dalle zone più abitate, potrebbe anche essere un residuo indizio dell'appartenenza dei suoi antenati ai Montani, sottogruppo dei Liguri 'Bagienni' che, attorno alla fine del III secolo a.C., si distaccarono dal loro gruppo principale e vennero poi piegati militarmente dai Romani.

A cura di Umberto Marucco

Per maggiori approfondimenti si veda:

- S. Giorcelli Bersani, " 'Regio IX. Liguria. Alba Pompeia' ", in " 'Supplementa Italica' ", 17, 1999, pp.95-96, n.28.

- G. Mennella e S. Barbieri, "La documentazione epigrafica della città e del territorio", in F. Filippi (a cura di), " 'Alba Pompeia': archeologia della città dalla fondazione alla tarda antichità", in "Studi per una storia d'Alba", vol.2, Alba 1997, pp.597-598, n.59.

- L. Mercando e G. Paci (a cura di), "Stele romane in Piemonte", Roma 1998, n.5.

Per la stele di 'Iunia Modesta' e gli elementi della scultura celtica si vedano anche:

- L. Mercando e G. Paci (a cura di), op. cit., n.4.

- L. Mercando, "Riflessioni sul linguaggio figurativo", in L. Mercando (a cura di), "Archeologia in Piemonte, volume II. L'età romana", Torino 1998, pp.291-297 e fig.271.

Sui Liguri Montani si veda:

- F. M. Gambari, " 'Sparsi per saxa'. I 'Bagienni' dalle origini alla 'lex Iulia de civitate' ", in M. Venturino Gambari (a cura di), "Dai 'Bagienni' a 'Bredulum': il pianoro di Breolungi tra archeologia e storia", in "QSAP" ("Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte"), 9, Torino 2001, pp.35-43.

Su un'ipotesi di delimitazione del territorio dei Liguri Montani si guardi anche la carta dei popoli della Liguria interna nella seconda età del Ferro in:

- F. M. Gambari, "I Liguri tra Etruschi e Celti: la Liguria interna prima della romanizzazione", in S. Giorcelli Bersani e M. Venturino (a cura di), "I Liguri e Roma. Un popolo tra archeologia e storia, Atti del Convegno, Acqui Terme 31 maggio-1° giugno 2019", Roma 2021, p.29.

venerdì 30 agosto 2024

I genitori di Pertinace

 


Il padre di Pertinace, Elvio Successo ['Historia Augusta', 'Pert.', 1,1], era un liberto, cioè uno schiavo che ottenne in seguito la libertà attraverso la 'manumissio', l'atto del diritto romano che ne permetteva l'affrancamento dal padrone.

La professione specifica che Successo esercitava, dal commercio di legname a quello della lana per la produzione del feltro, è stata a lungo argomento di discussione tra gli studiosi, ma fidandoci dell'interpretazione dei passi antichi e delle correzioni di questi ultimi proposte dall'illustre Theodor Mommsen, il padre di Pertinace avrebbe posseduto nel territorio di 'Alba Pompeia' un'attività di lavorazione della lana e commercio di tessuti che era poi tra i possedimenti ereditati dal figlio e da lui amministrati durante il suo esilio in Liguria all'epoca di Commodo ['Historia Augusta', 'Pert.', 3,2-4].

Secondo quanto testimonia Aurelio Vittore [Aurelio Vittore, 'Epitome de Caesaribus sive De vita et moribus imperatorum', XVIII, 4], Elvio Successo dirigeva questa manifattura tessile nelle terre degli Edii Lolliani, alle dipendenze del nobile proprietario terriero Lolliano Genziano di cui seppe probabilmente guadagnarsi la fiducia. Egli ottenne così l'affrancamento dalla condizione di schiavo grazie ad un ignoto personaggio, a sua volta cliente o dipendente dei Lolliani, appartenente alla 'gens' degli 'Helvii' (da cui il suo 'nomen' come liberto), originari forse dell'Italia centrale.

Quasi nulla è possibile sapere invece della madre dell'imperatore: ipotizzando che l'agiatezza raggiunta da Successo gli avesse permesso di sposare una donna di famiglia benestante e, forse, anche di ceto aristocratico, essa poteva allora essere imparentata con gli stessi Lolliani suoi patroni.

Unico ricordo che conserviamo nelle fonti scritte di lei è legato al periodo della vita di Pertinace in cui egli era al comando della flotta romana sul Reno presso Colonia, in qualità di 'Praefectus classis Germanicae' (come ci testimonia anche un'iscrizione rinvenuta nel 1959 e conservata a Bonn, base di un monumento dedicato dagli abitanti di Colonia a Pertinace). In quell'occasione sua madre lo aveva seguito fino in Germania e là morì, sepolta in una tomba che ai tempi del biografo, tra fine IV e inizio V secolo d.C., sarebbe ancora esistita ['Historia Augusta', 'Pert.', 2,3].

Un'identificazione suggestiva, ma finora non suffragata da ulteriori riscontri, è stata fatta da Corrado Picchi studiando i rapporti di parentela tra le famiglie degli 'Hedii', degli 'Helvii', dei 'Lollii' e degli 'Acilii' e riconoscendo la madre di Pertinace in una matrona romana chiamata Lollia Acilia Compsa, di cui sarebbe esistita un tempo un'epigrafe deposta tra un complesso di ruderi non lontano da Liegi, in Belgio.

Imparentata sia con la 'gens' Acilia del senatore Acilio Glabrione, sia con la 'gens' Lollia dei patroni di Elvio Successo, viene quindi da domandarsi cosa spinse una nobile donna in età già matura a seguire il figlio fino in Germania per poi rimanervi lì sepolta. A questo proposito, lo stesso Picchi teorizza che la presenza aristocratica della madre avrebbe potuto garantire a Pertinace una certa rappresentatività ufficiale per l'incarico a Colonia e può essere che la donna conoscesse già quelle terre per via dei fiorenti traffici intrapresi dalla sua famiglia.

A cura di Umberto Marucco

Per maggiori approfondimenti si veda:

- S. Fox e M. Pomponi, "Publio Elvio Pertinace imperatore romano: 'Alba Pompeia' 126 d.C. - 'Roma' 193 d.C.", Alba 2010, in particolare pp.23 e 323 per la traduzione italiana dei passi delle fonti antiche citate, pp.24-25 sull'epigrafe dedicata a Pertinace dagli abitanti di Colonia, pp.62-65 su entrambi i genitori e p.133 sulla vicenda della madre in Germania.

- Sul padre Elvio Successo si veda anche E. Groag e A. Stein (a cura di), 'Prosopographia Imperii Romani (P.I.R.) saec. I.II.III.', vol.IV2, Berlino 1958, p.68, H77.

- Sulla madre si veda ancora C. Picchi, "La madre dell'imperatore Pertinace. Ipotesi di identificazione" in " 'Alba Pompeia' ", IX, pp.31-42, Alba 1988.  

martedì 30 luglio 2024

Tesori nascosti - Un frammento per Iside

 


Tra i culti "esotici" diffusisi maggiormente in epoca romana vi era di sicuro quello dell'egiziana Iside, divinità legata alla magia, all'acqua e alla navigazione, ma anche venerata come dea dell'amore e, per questo, associata a volte alla romana Venere. Nelle province dell'Impero iniziarono a comparire luoghi e manufatti a lei dedicati a partire dal I secolo d.C. e, nello specifico, in Piemonte il suo culto si legò soprattutto al santuario dell'antica 'Industria'.

Tale centro romano, le cui rovine sono state ritrovate nei pressi dell'odierna Monteu da Po (TO), dovette gran parte della sua fortuna proprio a questa vocazione "santuariale" sviluppata nei primi secoli imperiali e conservata a lungo, tanto è vero che la città riuscì a superare la recessione economica che aveva precocemente colpito la regione grazie alle fiorenti attività artigianali e di fabbricazione bronzistica connesse al culto e sembra che, ancora nel III secolo d.C., essa fu meta di viaggio di imperatori come Gordiano III e Gallieno.

Nell'Albese la venerazione della dea egiziana è documentata da un frammento di stele marmorea esposto in museo e decorato con strumenti rituali, quali una patera (un piatto) e uno specchio, e con quelli che sono considerati gli attributi di Iside, ovvero un secchio chiamato situla ed un sonaglio metallico chiamato sistro.

A cura di Umberto Marucco

Per maggiori approfondimenti si veda:

- E. Micheletto, M. C. Preacco e M. Venturino Gambari (a cura di), "Città di Alba. Civico Museo 'Federico Eusebio' di Alba. Sezione di Archeologia", Alba 2006, p.74.

- L. Mercando, "Riflessioni sul linguaggio figurativo", in L. Mercando (a cura di), "Archeologia in Piemonte, volume II. L'età romana", Torino 1998, pp.329-330 e fig.322.

Sul santuario di Iside ad 'Industria' si vedano anche:

- S. Giorcelli Bersani, "La cristianizzazione del Piemonte sud-occidentale: le antiche diocesi di Alba e di Asti", in E. Lusso e F. Panero (a cura di), "Insediamenti umani e luoghi di culto fra medioevo ed età moderna. Le diocesi di Alba, Mondovì e Cuneo. Atti del convegno, La Morra 7 maggio 2011", La Morra 2011, pp.20-21.

- S. Giorcelli Bersani e S. Roda, " 'Iuxta fines Alpium'. Uomini e dei nel Piemonte romano", Torino 1999, pp.118-122.

- L. Mercando e E. Zanda, "Il santuario isiaco di 'Industria' ", in L. Mercando (a cura di), op. cit., pp.181-187.

  

lunedì 24 giugno 2024

Tesori nascosti - Pugnale del guerriero

 



Nelle foto: prima e seconda immagine, rappresentanti un'ipotesi ricostruttiva dell'immanicatura, del fodero e della posizione del pugnale indosso all'individuo, riprese da E. Micheletto, M. C. Preacco e M. Venturino Gambari (a cura di), op. cit., p.32. Terza immagine ripresa da I. Angelini, G. Artioli e M. Venturino, op. cit., p.48.

Una sepoltura dell'antica età del Bronzo (2200 - 2000 a.C.), rinvenuta nel 1998 in via Bubbio ad Alba, ha costituito una sorta di scrigno che ha permesso di riportare alla luce alcuni reperti di indubbio interesse. In questa fossa rettangolare, delimitata da un muretto di lastre di arenaria legate insieme con argilla e in origine coperta da un tumulo poi collassato, era stato deposto un individuo maschio, probabilmente collocato in una cassa lignea, in posizione rannicchiata con le gambe flesse di circa 90° rispetto al bacino verso ovest ed il cranio rivolto verso est.

Sulla sinistra del defunto, poco al di sopra della spalla, è stata trovata una lama di pugnale in rame dalla forma triangolare allungata e con i lati lievemente convessi. La sua base arrotondata conserva ancora le tracce di almeno quattro fori dove veniva fissato il manico in materiale deperibile e, data la presenza di sostanza organica mineralizzata rinvenuta tra la lama ed il fondo della fossa, è ipotizzabile che il pugnale fosse contenuto in un fodero di cuoio.

Tramite un'analisi antropologica si è potuto identificare l'uomo, alto tra i 166 ed i 169 cm e di circa 25-30 anni d'età, come un guerriero abituato allo sforzo fisico e che tendeva ad ipersollecitare i muscoli del braccio destro rispetto a quelli del sinistro, il che concorderebbe con la presenza del pugnale nella sepoltura.

Nonostante la datazione, la tipologia del rituale, la posizione del defunto e gli oggetti di corredo documentano un passaggio solo graduale dalle culture dell'età del Rame a quelle dell'età del Bronzo.

A cura di Umberto Marucco

Per maggiori approfondimenti si veda:

- E. Micheletto, M. C. Preacco e M. Venturino Gambari (a cura di), "Città di Alba. Civico Museo 'Federico Eusebio' di Alba. Sezione di Archeologia", Alba 2006, pp.20 e 32.

- M. Venturino Gambari, N. Cerrato, C. Ottomano, E. Fulcheri, M. Micheletti Cremasco e A. Perotto, "Alba, corso Langhe e corso Europa. Scavi nell'area degli insediamenti pre-protostorici", in "QSAP" ("Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte"), 16, Torino 1999, pp.227-230 e tavv.LXXXIII-LXXXIV.

- Per ulteriori informazioni su un anello a spirale, recuperato tra le ossa del costato del defunto, il cui argento pare provenire dalle miniere della Sardegna sud-occidentale, si consulti anche I. Angelini, G. Artioli e M. Venturino, "Manufatti in argento e stagno da contesti dell'età del Bronzo di Alba (Cuneo)", in M. Cupito' (a cura di), "Quinto Incontro Annuale di Preistoria e Protostoria. Materiali preziosi, semipreziosi e inconsueti nell'età del Rame e nell'età del Bronzo italiana. Archeologia, archeometria e paleotecnologia. Abstract book, Padova 29 Maggio 2018", Firenze 2018, pp.48-50.

sabato 25 maggio 2024

Tesori nascosti - Un curioso ex voto ai Lari

 


Tra i pavimenti del teatro di 'Alba Pompeia', dissotterrati in via Manzoni e ricostruiti in museo nel 1949, si trova una breve e curiosa iscrizione ricordante un uso precedente di una specifica formella. In una di queste opere in 'opus sectile', ovvero costituite da marmi policromi che compongono insieme una decorazione a figure geometriche, era stata reimpiegata, capovolgendola, una lastra di marmo giallo antico attestante una dedica votiva ai Lari, divinità con diverse possibili specializzazioni, ma principalmente legate alla protezione del focolare domestico e venerate anche agli incroci delle strade.

Questo frammento, oggi formato da pezzi combacianti ricongiunti, è stato resecato su tutti i margini per assumere la forma di un quadrato di 40,5 cm di lato, inscritto diagonalmente in un secondo quadrato di marmo pavonazzetto circondato a sua volta da listelli sempre in marmo giallo. Si ripeteva così il motivo geometrico di uno dei pavimenti che, presumibilmente, impreziosivano lo spazio antistante il proscenio del teatro.

Purtroppo l'iscrizione presenta lacune sia a destra che a sinistra del testo, facendo mancare l'onomastica della dedicante dell'offerta, di cui restano solo le ultime lettere del 'cognomen' romano nella prima riga, ed anche l'oggetto offerto e/o la natura dell'ex voto nella seconda riga:

'[---]da l(ibens) Larib(us) [---] / [---] dat.'

"...da offre volentieri ai Lari..."

(Testo latino e traduzione italiana riprese da G. Mennella, op. cit., p.33)

La lastra in questione indicherebbe quindi l'esistenza di un piccolo tempio ai Lari nell'area dove in seguito sorgerà il teatro cittadino, poiché la forma accurata delle lettere e l'uso al presente del verbo la datano all'inizio del I secolo d.C. e considerando che sotto la chiesa di San Giuseppe vennero rinvenute altre due epigrafi, databili tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C., anch'esse riconducibili ad un probabile sacello cultuale.

A cura di Umberto Marucco

Per maggiori approfondimenti si veda:

- S. Giorcelli Bersani, " 'Regio IX. Liguria. Alba Pompeia' ", in " 'Supplementa Italica' ", 17, 1999, p.72, n.1.

- G. Mennella, "Evidenze epigrafiche per un probabile luogo di culto in età romana", in W. Accigliaro e M. Rabino (a cura di), "La chiesa di San Giuseppe. Restauri e studi per una sede di culto in Alba", Alba 2002, pp.31-33. Lo stesso contributo riporta anche la descrizione delle due epigrafi ritrovate sotto il pavimento della chiesa, ossia una possibile tabella con l'indicazione del peso di un'offerta ed una dedica che forse correva lungo la cornice del sacello cultuale.

- G. Mennella e S. Barbieri, "La documentazione epigrafica della città e del territorio", in F. Filippi (a cura di), " 'Alba Pompeia': archeologia della città dalla fondazione alla tarda antichità", in "Studi per una storia d'Alba", vol.2, Alba 1997, pp.571-572, n.3.

- Per informazioni dettagliate sui pavimenti in marmo del teatro antico si veda poi L. Albanese, "Marmi romani dal Museo Civico 'Federico Eusebio' di Alba", Savigliano 2007, pp.87-89, n.50.

martedì 23 aprile 2024

Tesori nascosti - Iscrizione pubblica per Caracalla

 

Esposta assieme ai pavimenti del teatro antico e ai reperti legati ai culti cittadini, in una sala del museo "F. Eusebio" si trova oggi una rara testimonianza della Liguria interna relativa all'imperatore Caracalla.

Questa lastra di calcare di appena 38x50 cm, probabilmente reimpiegata data la colata di vernice sintetica che ne ha danneggiato tutta la superficie e rinvenuta nel 1985 ad Alba in un luogo sconosciuto, in origine faceva parte di una ben più maestosa iscrizione pubblica, come si evince anche dalle lettere alte fino ad 8 cm, offerta al figlio di Settimio Severo dalla 'plebs urbana' di 'Alba Pompeia' in verosimile unione con l'ordo decurionale della città, ossia l'insieme dei cittadini più ricchi ed onorevoli che avevano il privilegio di poter sedere nella curia, il senato locale creato a immagine di quello di Roma. La dedica è inoltre la prima attestazione di questa forma di onori nell'ambito della municipalità albese e potrebbe documentare l'esistenza di un ordo decurionale per l'amministrazione della città fino ai primi decenni del III secolo d.C.

Poiché solamente la dinastia dei Severi faceva riferimento ai precedenti imperatori antonini attraverso una fittizia parentela adottiva, la menzione nell'iscrizione del dedicatario come 'adnepos' di Traiano induce a identificarlo in Caracalla e la sua stessa titolatura sembra essere successiva alla morte del padre, dunque l'intera epigrafe si collocherebbe di sicuro dopo il 211 d.C. Vista poi la genericità dell'omaggio, non è da escludere che si trattasse di un auspicio 'pro salute et reditu', indirizzato all'imperatore per augurargli il miglior ritorno possibile dalla campagna in Oriente contro i Parti del 214 d.C.

Infine, la stessa lastra è anche una delle poche epigrafi databili a questo secolo, periodo in cui, data la grave mancanza di testimonianze sulla vita cittadina, è evidente che 'Alba Pompeia' stava affrontando una crisi caratterizzata dal regresso economico, dalla contrazione della popolazione e dal progressivo abbandono delle strutture pubbliche e private.

Limitatamente alle quattro righe ancora in parte conservate, l'iscrizione pubblica poteva recitare così:

'... [Divi Hadriani abnepoti, D]ivi Trai[ani / Parth(ici) et Divi Nervae] /

[a]dnepoti /

[M(arco) Aurelio Anton]ino Pio [Felici Augusto] /

[decuriones et] plebs [urbana] (?). / ----- (?)'


"... All'abnipote del Divo Adriano, adnipote del Divo Traiano Partico e del Divo Nerva,

Marco Aurelio Antonino Pio Felice Augusto,

i decurioni e la plebe urbana (di 'Alba Pompeia' fecero fare)... (?)"

(Testo latino ripreso da G. Mennella e S. Barbieri, op. cit., p.575, n.9. Traduzione italiana liberamente realizzata)

A cura di Umberto Marucco

Per maggiori approfondimenti si veda:

- L. Albanese, "Marmi romani dal Museo Civico 'Federico Eusebio' di Alba, Savigliano 2007, p.146, n.93.

- S. Giorcelli Bersani, " 'Regio IX. Liguria. Alba Pompeia' ", in " 'Supplementa Italica' ", 17, 1999, pp.73-74, n.3.

- G. Mennella e S. Barbieri, "La documentazione epigrafica della città e del territorio", in F. Filippi (a cura di), " 'Alba Pompeia': archeologia della città dalla fondazione alla tarda antichità", in "Studi per una storia d'Alba", vol.2, Alba 1997, p.575, n.9.

- S. Roda, "Ai margini dell'impero nell'età dell'angoscia: Alba e il Piemonte romano al tempo di Pertinace", in M. Pomponi (a cura di), "Publio Elvio Pertinace imperatore romano: 'Alba Pompeia' 126 - Roma 193 d.C. Atti della Giornata di studi su Publio Elvio Pertinace, Fondazione Ferrero, Alba, giugno 2007", Alba 2010, p.38 e nota 47. Quest'ultimo contributo fornisce inoltre un'attenta analisi della crisi che colpì 'Alba Pompeia' ai tempi della salita al potere dell'imperatore Pertinace e, forse, già in epoca precedente.

- Per utilissime informazioni sullo studio delle testimonianze epigrafiche e sulla conoscenza che tale tipologia di fonti ha potuto trasmettere sulla civiltà romana si può consultare il manuale più volte ristampato S. Giorcelli Bersani, "Epigrafia e storia di Roma", Roma 2004, in particolare pp.171-182 (5.1 "I signori delle città") per spiegazioni sull'ordo decurionale delle diverse comunità cittadine. 

giovedì 7 marzo 2024

Il nastro d'oro di una matrona


Ad Alba, nell'area sepolcrale di via Rossini facente parte della grande necropoli sudoccidentale estesa lungo l'asse dell'odierno corso Piave, è stata trovata una tomba che doveva appartenere ad una ricca matrona romana, visto il pregio degli oggetti del suo corredo funerario.

Tra questi ultimi spicca particolarmente un frammento di 24 cm di un nastro che la donna poteva utilizzare sia per impreziosire i bordi di una veste che per ornarsi i capelli in un'elaborata acconciatura. Esso è uno dei rarissimi reperti in oro ritrovati finora nel Piemonte sudoccidentale ed è stato tessuto con fili d'oro ottenuti attorcigliando della fettuccia d'oro intorno ad un filo fibroso.

Nella sepoltura, scoperta tra il 1975 e il 1976 già parzialmente sconvolta dai lavori di un cantiere edile, si trovavano anche altri oggetti insieme a questo nastro, oggi tutti conservati in una vetrina al primo piano del Museo "Federico Eusebio". Tra questi vi sono: un manico semicircolare e delle forcine che costituiscono i resti di un cofanetto, probabilmente in legno rivestito di pergamena, usato per contenere gli strumenti per abbellirsi ed agghindarsi, gli 'ornamenta'; uno specchio rettangolare in bronzo argentato e dei balsamari in vetro soffiato dalla cui tipologia è stato possibile dare alla tomba una datazione verso la fine del I secolo d.C.

A cura di Umberto Marucco

Per maggiori approfondimenti si veda:

- L. Albanese, " 'Alba Pompeia': il nastro d'oro della tomba n.20 e gli 'ornamenta matronalia' ", in E. Micheletto (a cura di), " 'Ornamenta' femminili ad Alba e nel Cuneese in età antica", Alba 2011, pp.20-25.

- Più in generale, sugli 'ornamenta' femminili rinvenuti nelle necropoli del Cuneese si veda anche M. C. Preacco, "Gioielli e mondo femminile nelle necropoli cuneesi di età romana", in E. Micheletto (a cura di), op. cit., pp.15-19.

- Sulla tomba 20 dell'area di via Rossini ad Alba si veda inoltre G. Spagnolo Garzoli, "L'area sepolcrale di Via Rossini: spunti per l'analisi della società e del rituale funerario ad 'Alba Pompeia' tra Augusto ed Adriano", in F. Filippi (a cura di), " 'Alba Pompeia': archeologia della città dalla fondazione alla tarda antichità", in "Studi per una storia d'Alba", vol.2, Alba 1997, pp.317-319.  

lunedì 4 marzo 2024

Sogni digitali (Digital Dreams) all'Eusebio

 Sabato 24 febbraio al Museo Eusebio è stata inaugurata la mostra “Sogni digitali (Digital Dreams)” dell'artista albese Paolo Vergnano, biologo albese con la passione per la camera oscura.

Un interessante e creativo cortocircuito fra la bellezza della natura esotica e le foto di una Langa diroccata e misteriosa è al centro di una collezione di collage fotografici dalle sfumature oniriche e surreali.

Il gioco di colori delle farfalle in volo si intesse in sfondi ruvidi, quasi materici. Occasione di incontro e scontro della vitalità delicata del creato con la forza silenziosa e austera di mura e rocce, gli scatti di Vergnano portano a nuove e feconde composizioni al confine fra la fotografia e la pittura.





Alleghiamo in video la presentazione della mostra da parte dell'Assessore alla Cultura Carlotta Boffa e della Curatrice del Museo Luisa Albanese...

una parola di benvenuto da parte del Curatore della Sezione di Scienze Giovanni Repetto...

e una presentazione della presenza degli Amici nel nostro Museo, da parte di Luciano Giri.

A seguito delle presentazioni, ecco che la parola viene lasciata al critico d'arte Diego Repetto e al giornalista Paolo Rastelli di Gazzetta d'Alba, che costituiscono una piccola tavola rotonda assieme all'artista Paolo Vergnano, indagando la nascita e lo sviluppo di questa originale collezione fotografica.


In questo ultimo video, in particolare, si narra della genesi di questo singolare progetto artistico e di come la ricerca di un cascinale da restaurare si sia trasformata in uno spunto per le fantasie esotiche dell'autore.

Ricordiamo che la mostra sarà aperta fino al 29 settembre dal martedì al venerdì dalle 15:00 alle 18:00 e sabato, domenica e festivi dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:00, all'interno dalla sala Maccario del Museo Eusebio.  

domenica 11 febbraio 2024

La dedica di un marito alla moglie defunta

 


' D(is) M(anibus) / Aeburcelliae / G(ai) f(iliae) Ingenuae. / L(ucius) Aebutius

Carpo/forus, coniugis / obsequium, signu/m, solamen amoris, / honc titulum

pos/uit confusa mente / maritus.'


"Agli Dei Mani di Eburcellia Ingenua, figlia di Gaio. Lucio Ebuzio Carpoforo,

il marito in pieno smarrimento mentale, ha posto questa dedica quale atto di

deferenza verso la moglie, come prova e a consolazione del (suo) amore."

(Il testo latino e la traduzione italiana sono state riprese da G. Mennella, op. cit., pp.182-183, n.3)


Questa stele pseudocuspidata in marmo grigio, alta 47 cm, larga 30 cm e spessa 4 cm è stata trovata in un deposito di limo sabbioso di formazione naturale nella "Cripta dei Vescovi" sotto la cattedrale albese. Decorata con una rosetta a quattro petali nel timpano e con interpunzioni di vario genere a scandire il testo, tra cui una a fogliolina d'edera che abbellisce proprio il suo centro, l'epigrafe è in buone condizioni conservative e facilmente leggibile.

Essa è poi un esempio assai raro di iscrizione funeraria ligure pagana realizzata in poesia, dato che dopo la presentazione onomastica dei due coniugi si trovano due perfetti esametri con cesure semiquinarie. Questo scritto così particolare potrebbe sì essere stato scelto dal committente fra una serie di proposte già a disposizione dell'officina lapidaria che realizzò l'opera, ma potrebbe altresì essere che il marito stesso abbia composto questi versi "di getto", per esprimere lo sconvolgimento in cui cadde per la perdita dell'amata e la commozione che provò al momento della morte improvvisa.

Nonostante la discreta fattura, la stele appare non del tutto finita viste alcune linee guida di preparazione del testo che ancora affiorano soprattutto nelle ultime righe e poiché mancano alcuni dettagli di rifinitura dell'opera come, ad esempio, la lisciatura di tutto il lato destro e di quello superiore. Riguardo l'onomastica sono poi di sicuro interesse il 'nomen Aeburcellia', assolutamente unico nel suo genere, e il fatto che il marito, dal 'cognomen Carpoforus' di origine grecanica, abbia omesso la sua filiazione ma non quella della moglie, probabilmente per non dichiarare troppo esplicitamente la sua condizione di ex-schiavo liberato unitosi ad una donna di liberi natali.

Infine, come datazione l'opera può essere ricondotta verosimilmente alla prima metà del II secolo d.C.

A cura di Umberto Marucco

Per maggiori approfondimenti si veda:

-  G. Mennella, "Le epigrafi romane", in E. Micheletto (a cura di), "La cattedrale di Alba. Archeologia di un cantiere", Firenze 2013, pp.182-183, n.3.

martedì 30 gennaio 2024

Tesori nascosti - Statuetta del Neolitico

 



Nelle foto: la seconda immagine è stata ripresa da M. Venturino Gambari, M. Calattini, B. Zamagni e M. Giaretti, op. cit., p.117.

Tra il 1986 e il 1988 ad Alba venne realizzata un'indagine archeologica in un'area complessiva di ben 230 mq tra via Pinot Gallizio, via Cencio e corso Langhe, sfruttando l'occasione della costruzione in quella zona di un edificio commerciale. Lo scavo permise così di scoprire interessanti ritrovamenti databili dal Neolitico fino all'età del Bronzo recente: questo frammento di statuetta fittile è uno dei rinvenimenti riconducibili ad un insediamento stabile nell'Albese di popolazioni dei "Gruppi del Neolitico Antico Padano" tra la fine del V e gli inizi del IV millennio a.C., in un momento quindi successivo alla prima neolitizzazione di quest'area ad opera di gruppi liguri della cosiddetta "Cultura della Ceramica Impressa".

La statuetta, con un'estensione a forma di fungo che doveva rappresentare la testa e delle piccole linguette al di sotto che sembrano accennare delle braccia, doveva avere in origine un'aspetto femminile e svolgeva probabilmente un ruolo essenziale nei riti e culti connessi con la fertilità della terra e la vita dei primi agricoltori.

Vari esemplari simili, ritrovati ad esempio a Vhò di Piadena in provincia di Cremona, sono stati identificati con la grande Dea Universale, madre nutrice delle origini, presente in molte delle mitologie agricole e la cui sopravvivenza si può forse percepire in componenti di questa religiosità che sarebbero confluite durante il Medioevo nello stereotipo del sabba. E' probabile dunque che statuette come questa non dovessero rappresentare una figura femminile a scopo ornamentale, ma più che altro enfatizzare determinate parti del corpo di modo da avere un valore simbolico, tesi ulteriormente avvalorata in questo esemplare dalla presenza di un motivo a zig-zag, detto a 'chevron', inciso su più punti e con cui venivano solitamente contrassegnati gli oggetti di culto.

A cura di Umberto Marucco

Per maggiori approfondimenti si veda:

- M. Venturino Gambari, "La preistoria: dalla pietra levigata al primo metallo", in M. Venturino Gambari (a cura di), "Navigatori e contadini: Alba e la valle del Tanaro nella preistoria", in "Studi per una storia d'Alba", vol.1, Alba 1995, pp.13-26 e, in particolare, pp.16-17 sulla statuetta fittile.

- M. Venturino Gambari, F. M. Gambari, M. Giaretti e C. Davite, "L'indagine archeologica", in M. Venturino Gambari (a cura di), op. cit., pp.70-77 sul saggio "Cooperativa dei Lavoratori" effettuato tra il 1986 e il 1988.

- M. Venturino Gambari, M. Calattini, B. Zamagni e M. Giaretti, "La cultura materiale: il Neolitico", in M. Venturino Gambari (a cura di), op. cit., pp.107-118 sulla ceramica rinvenuta nello scavo e, in particolare, pp.116-117 sempre sul frammento di statuetta albese.

- E. Micheletto, M. C. Preacco e M. Venturino Gambari (a cura di), "Città di Alba. Civico Museo 'Federico Eusebio' di Alba. Sezione di Archeologia", Alba 2006, p.26 sulle prime testimonianze di attività umana nell'Albese.